lunedì 27 maggio 2013

Perfettamente, ma lunedì.

Sveglie fanculate. Dal momento in cui alla domenica sera ancora non so se il lunedì mattina sarò in cassa o in ufficio (nb, chiesto venerdì per mezza giornata e nada, venerdì sera dopo "aperitivo amici" e nada e domenica sera tramite sms e.... nada!) decido in autonomia che la mattina la inizio a modo mio. Sveglia tranquilla alle 9,30, buongiorno preso dalla mora, doccia, riflessione dell'inizio settimana e portato fuori il cane. Rollata e Korn e via in ufficio. Arrivato con gli occhi a fessura. Relax, tempo azzeccato, sole forte traffico e cippa aiutano ad andare giù. Ma non importa. Rapportini sfanculati anche quelli, non lo so e non me ne frega niente, pranzo che mi è andato di traverso: "Ste!!!! Cazzo avevi mezza pizza kebab in forno!!!! Stasera...." Saluto colleghi e non e via dal cliente. Tutto tranquillo, un paio di utenze da sistemare e un lavoretto che era un paio di giorni che mi portavo dietro fatto.
E ora la folgorazione.
Un ciuffo di polline che fluttuava solitario al centro del garden. Etciù di dovere a chi ne soffre, ma è stata un'immagine così pura da riportarmi alla rigida realtà con una sferzata lungo la pelle della schiena. E ancora ci penso. A quel batuffolo che leggero saliva, scendeva e andava sempre verso la mia sinistra...

sabato 25 maggio 2013

Parole d'altri, totalmente condivise.

Copio e incollo.
L'originale lo potete trovare qui, ma mi piaceva troppo e non volevo andasse perso per altrui motivi.

Perfezionismo, paura e ‘iperadattamento’

di Ludovica Scarpa | 25 maggio 2013

Più informazioni su: Consumismo, Felicità, Paura.
Il perfezionismo ha a che fare con la paura. La paura di sbagliare, di far brutta figura, di “perdere la faccia” e la fiducia degli altri. Con questa strategia cerchiamo allora di controllare l’esito di quel che facciamo, e ci aiuta ad avere buoni risultati.
Ma il perfezionismo ci abitua ad un atteggiamento di fondo fatto di aspettative forti, fino, all’estremo, al coltivare l’ossessione di un mondo “perfetto” – se “io” infatti mi do tanto da fare, finirò facilmente con l’aspettarmi che anche gli altri lo facciano. Giudichiamo le azioni degli altri vedendone le conseguenze – e non sentendo “in diretta” le (loro) ragioni e le (loro) buone intenzioni – è quindi facile sentirci frustrati e arrabbiati dall’imperfezione del mondo, inteso come il risultato complesso delle azioni di tutti.
Le “buone intenzioni” infatti le possiamo sentire solo se sono le nostre, quelle appunto che sentiamo in diretta, dentro di noi. E questa banale circostanza impedisce spesso l’equanimità e la calma, nel parlare fra di noi.
Sembra che in fondo noi si sia convinti che le cose debbano funzionare al meglio e che la società ci debba rendere felici, per cui coltiviamo un atteggiamento che assomiglia alla pretesa – di perfezione – sia da parte di noi stessi che dalla realtà in generale. Per cui, senza accorgercene, seminiamo in noi stessi esattamente il contrario di quella serenità che cerchiamo di ottenere: la frustrazione.
Pretendere che le cose siano come ci auguriamo che siano implica spostare la nostra attenzione verso quel che (ancora?) non lo è, trascurando quel che già “funziona” e di cui, se solo ce ne rendessimo conto, potremmo rallegrarci. L’atteggiamento mentale della pretesa si può definire quindi come il contrario di quello della gratitudine, che ci permette di sentire gioia per quel che esiste.
Nella storica dichiarazione di indipendenza americana (1776) Jefferson formulava il diritto alla ricerca della felicità (pursuit of happiness), non alla felicità. Sembra forse una sottigliezza lessicale, ma cogliere la differenza è fondamentale: è nella ricerca della felicità, nella libertà di darci da fare per realizzarci, che sentiamo soddisfazione. Nel processo, non nella fine del processo, nel camminare, non nel raggiungimento della meta.
Ma come ognuno di noi avrà notato, camminando la linea dell’orizzonte si sposta con noi. Fortunatamente per noi esseri umani, quindi, la meta non la si raggiunge mai, se la meta è la perfezione e la felicità intesa come uno stato duraturo. La perfezione, si dice, non è di questo mondo, appunto. Facciamo di tutto dunque per migliorare la nostra situazione, pretendendo di più e il meglio da noi stessi e dalla nostra vita, e la nostra caratteristica insoddisfazione è in fondo la fonte della nostra intrinseca motivazione.
Nella vasta produzione di libri che riflettono intorno al tema spinoso del “come poter vivere meglio”, Vallardi ha appena pubblicato La storia del piccolo pinguino, in cui l’autore, Danis Doucet, psicologo canadese, sostiene che siamo afflitti da un eccessivo sforzo di adattamento.
Il messaggio è che possiamo smettere immediatamente di credere di dover insistere per fare di più e di meglio, per adattarci alle richieste della società. Quel che ci serve è fermarci a riflettere, suggerisce la favola del pinguino, almeno se facciamo (ancora?) parte del gran numero di persone perennemente insoddisfatte. Cito: “più agiamo secondo una mentalità individualistica, più facciamo gli interessi economici di chi fabbrica beni e servizi. Se tre vicini condividessero la stessa falciatrice, le vendite calerebbero di due terzi”. Uno stile di vita solidale, calmo e riflessivo diventa un’implicita critica al sistema economico consumista.

lunedì 13 maggio 2013

Questo è il mio mondo.

Sono un extraterrestre. Per definizione, un extraterrestre è una qualunque cosa animata o non, che non si sia formata sulla Terra. E alla data attuale, quello che vedo fuori dalla finestra non è il mio mondo. Io vengo da un mondo diverso, e vorrei raccontarlo, così magari viene fuori che non sono un extraterrestre, o perchè no, potrebbero esserci altri extraterrestri su questo mondo.
Nel mio mondo i bambini fanno i capricci, puntano i piedi e viene concesso loro di andare a giocare ai giardinetti, o da qualche amico. Si attira la loro attenzione gridando il loro nome, e normalmente, fino a 10/12 anni, vanno in giro coi pantaloni rappezzati. Non perchè non ci si possa permettere i pantaloni nuovi, ma perchè continuano a romperli buttandosi per terra, giocando con altri.
A questo mondo i bambini ottengono senza fare capricci, non possono andare ai giardinetti prima di una certa età, e a quella età normalmente hanno trovato svago davanti a uno schermo, e non sono più disposti a sudare e farsi male quotidianamente per divertirsi. Nessun genitore grida più i nomi (fateci caso), oramai sono tutti suoneria dotati e a 12 anni decidono di ignorare la chiamata, che trattandosi di un suono anonimo, senza l'incazzatura del tono crescente dietro, ovviamente non ha l'effetto che dovrebbe avere. Non hanno un nome ma nick, alias e avatar. Anche io avevo soprannomi e figure leggendarie di fantasia alle quali facevo affidamento con la fantasia, ma questo comportava uno sforzo minimo dalla mente e tutto il resto divertimento. A questo mondo l'immagine è tutto, il resto del gioco vive in funzione dell'immagine del personaggio. A questo mondo, a 10/12 anni le scarpe i pantaloni e le mutande sono firmate, rompere un pantaloncino significa fare la cosa sbagliata perchè costa un casino e nessuno rattappa più, si compra nuovo.
Nel mio mondo c'è la droga. Quand'ero piccolo mi capitò di andare "alla pineta" coi ragazzi più grandi. Lì era possibile trovare qualche pagina porno strappata e infangata ma c'era il rischio dei drogati, e lo sapevamo. Ma non sapevamo che a loro non fregava niente di noi, se mi fossi sbucciato mi avrebbero anche riaccompagnato, facendomela fare sotto dalla paura.
A questo mondo non ci sono drogati. Ci sono emarginati e trendy. I primi sono duri e menefreghisti, non frega niente di quel che succede fuori, purchè abbiano la loro roba. Sono perlopiù soli, abbandonati dagli altri ma prima ancora da loro stessi, e sopravvivono applicando la legge dell'autarchia pura, più qualche razzia perchè le droghe costano. Si conoscono per nome e tra chi si conosce, si rischia tutto, perchè quel qualcuno può essere tutto per loro. I secondi vivono nella società, la guardano dall'alto al basso perchè "possono", e possono drogarsi e denigrano gli emarginati, perchè non hanno "amici", perchè sono "soli". E paradossalmente questi non ti aiutano guardandoti dai finestrini fiammandi del grand cherokee, non si dividono la dose per necessità altrui ma per propria. Se li avessi incontrati nel mio mondo e mi fosse sbucciato il ginocchio, quasi sicuramente mi avrebbero fatto tirare la loro biancaneve e avrebbero preteso di sapere esattamente gestire la situazione, magari facendomi infettare l'abrasione, ma mai fatto andare via perchè avrei potuto dire chi erano e cosa ci facevano lì.
Nel mio mondo c'erano liti fatte di insulti e pugni e calci a vuoto e figuracce perchè a 10 anni non sai colpire neanche un cuscino senza farti male o lisciarlo. Ma poi si tornava a casa, ce le prendavamo dai nostri genitori perchè non importava di chi fosse la ragione ma sicuramente anche nostra e quando non ci obbligavano ad andare a chiedere scusa, dopo qualche giorno serviva uno in più in squadra e guarda caso si faceva comunque pace.
A questo mondo le liti sono di silenzio, senza sguardi nè gesti, a distanze anche di km. I bambini sono mosti in miniatura che già fermentano aceto. Parlano per sms e non sanno scrivere che qualche cazzata detta 2000 anni fa da qualche illustro, rendendo pirite quello che una volta ero oro puro. Ci si cancella, blocca, hackera chi è più bravo, ma tutto nel silenzio e non ci sono genitori a prenderci per le orecchie e portarci a fare il nostro lavoro e se serve un giocatore in più... On line ce ne sono a bizzeffe.
Vorrei sapere fin dove ci si può spingere con l'ideale dell'alieno, del non terrestre, perchè io ho casa, casa d'origine e casa da proteggere su un pianeta... Ma non è questo per quanto non ricordi di averlo mai lasciato.
Questo è solo un piccolo getto, uno sbuffo da prendere così, come un pastore presbiteriano prenderebbe la storia dell'Area 51. "Dio ci ha creato a sua immagine e somiglianza. Negri a parte." E mi sento un po' eschimese... Di Nettuno.

lunedì 6 maggio 2013

Ha ragione la mia donna...

... quando dice che questo lunedì è partito male e andrà peggio.
Non che sia una giornata da "peggio"... La mattina è andata liscia, il pome sono stato in orario e ho già risolto le urgenze e ora lavoro placidamente al mio ritmo, Andreotti è morto, la CO2 nell'aria ha superato le 400ppm e io sogno ancora di costruire un mezzo tutto mio, supersonico, a emissioni 0, che mi faccia sfrecciare lassù senza strade nè ingorghi nè velox e tantomeno over 70 alla guida.
Eppur la giornata non ne vuole sapere. Il sole fa capolino di quando in quando, mandando a puttane le illuminazioni a tende automatizzate e il monitor che corregge automaticamente. Sarà questo mal di mare anomalo, sarà che è maggio, ma di maggio solo l'ombra. Sarà.
Sarà pure, ma in questo momento mi sento uno schifo, non so il perchè e non ne vedo il motivo. Forse l'episodio di ieri... Password, fratelli e im... E io che sono un coglione incapace di un dialogo fatto di parole per più di 10 minuti.
Si, forse forse ho centrato l'argomento. Eppure è strano... Il su e giù della luce mi ha mandato in down totale... E ora mi sento ancora peggio...